È evidente a chiunque che in Italia sta avendo luogo un gravissimo distacco tra il sistema dei partiti, “lievito madre” della democrazia rappresentativa, e i cittadini, ragion d’essere dell’Italia in quanto nazione. La rissosità inconcludente tra gli schieramenti e la sistematicità con cui si susseguono scandali, inchieste della magistratura e conseguenti arresti, sono elementi alla base della disaffezione dei cittadini riguardo al fare politica, e costituiscono il palese presupposto di due fenomeni dilaganti: il qualunquismo; l’astensionismo. Il primo, crescente soprattutto tra i giovani, sempre più disillusi, disincantati, frustrati nelle loro aspirazioni di crescita e affermazione, nichilisti e distanti dall’idea che possa esistere, oltre il ristretto confine percettivo- morale che li identifica, una res publica di ordine superiore: un’entità collettiva, dalla quale possano ricevere e verso la quale orientare traguardi, scelte, il proprio appassionato contributo di partecipazione e di testimonianza. Il secondo, invece, è in aumento soprattutto tra coloro che negli anni passati o anche più recentemente, hanno voluto sentirsi parte attiva della politica, partecipando alla vita dei partiti, sostenendoli dall’esterno e dall’interno, tesserandosi, contribuendo al loro consolidamento, affezionandosi ai loro leader e ai loro programmi di rinnovamento ideologico. Per ciascuno dei due gruppi sociali, seppure con gradi di consapevolezza e modalità ben diverse, sembra sia stata frustrata l’idea fondo, quella di essere parte integrante di un progetto più grande: l’Italia. La rassegnazione, circa l’immodificabilità e irredimibilità del sistema, è diventata fattor comune tra qualunquisti e astensionisti. I primi, in modo particolare, riducono la questione affermando che tanto, in politica, sono tutti uguali, che senso avrebbe, quindi, informarsi o impegnarsi per qualcosa o qualcuno. Se si decide di andare a votare e il meteo non suggerisce altre scelte, ben più goderecce, si sceglie il candidato più simpatico, quello che è stato suggerito dall’amico o che va di moda, sulla base delle voci di strada. I secondi tendono, invece, a discutere tra loro, per piangersi addosso e rimpiangere, posti di fronte all’inquietante interrogativo di sempre, quanto meno a sinistra: che fare?. Il risultato è, alla fine, identico: la non partecipazione, patologia grave della nostra democrazia rappresentativa, che rischia per questo malessere endemico di tramontare definitivamente. Il vero pericolo per la democrazia, infatti, non risiede tanto nella spinta anarchica del megalomane per eccellenza, a tutti ben noto, ma nei cittadini che non partecipano alla vita pubblica, che non vivono, non testimoniano e non alimentano, con la loro fattiva partecipazione, la Democrazia.
Il problema, quindi, è come fare a recuperare i cittadini e i giovani, soprattutto, alla politica e alla partecipazione democratica. Io credo che la soluzione sia da sperimentarsi nel favorire la costituzione di movimenti locali, che incoraggino l’avvicinamento dei cittadini alla vita e alle scelte della comunità in cui risiedono. I grandi “partiti apparato”, quelli che per fare opinione abbisognano sempre più di presenza negli spettacoli televisivi e di un esasperato cicaleccio pseudo- giornalistico, sono dal mio modesto punto di vista arrivati al capolinea della storia. Quello che può riavvicinare la gente comune alla politica è il loro coinvolgimento fattivo nelle faccende dell’ambito territoriale in cui vivono. Tali questioni sono almeno comprensibili, a livello locale, e vi è in più la possibilità di tracciare, con maggiore consapevolezza e precisione, il quadro delle responsabilità specifiche, inerenti agli insuccessi o ai meriti di una determinata azione politica. La democrazia è in pericolo perché si è andata smarrendo la possibilità di sperimentarla concretamente da parte di ciascuno di noi. La graduale burocratizzazione dei rapporti sociali, la diffusa e pervasiva presenza dei partiti nella vita pubblica e l’alienazione della gente comune rispetto alle istituzioni e allo Stato, sempre più distanti da ciò che il cittadino sperimenta quotidianamente nella propria comunità locale, rischiano di diventare la premessa per uno sbocco drammaticamente possibile: il dogmatismo del pensiero unico dominante. Torniamo a vivere la politica nella comunità cui partecipiamo. Torniamo a viverla con la coscienza di essere non soltanto cittadini vessati e incompresi, ma con la voglia di esprimere la nostra opinione, con forza e determinazione. Aggreghiamoci e rendiamoci promotori di nuovi soggetti politici locali, che diano chiare risposte e indicazioni serie, rigorose e severe all’autoreferenzialità delle ristrette oligarchie imperanti nei partiti nazionali. Buona comunità a tutti!
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